Segreto professionale consulente del lavoro: diritti, doveri, obblighi e violazioni

Segreto professioanle consulenti del lavoro

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Il segreto professionale del Consulente del Lavoro costituisce un aspetto della professione che, da un lato, si configura come un obbligo che il consulente del lavoro è tenuto a rispettare, dall’altro rappresenta una prerogativa di cui lo stesso professionista può avvalersi nell’ambito di un processo penale. 

Il segreto professionale: cosa prevede e quando sussiste

Il segreto professionale del Consulente del Lavoro è disciplinato nella norma di cui all’articolo 6 della legge 11 gennaio 1979, n. 12 sull’ordinamento della professione di Consulente del Lavoro.

La legge citata ne impone l’obbligo e stabilisce che nei confronti di tale professionista “si applica l’articolo 351 del codice di procedura penale”. Il consulente del lavoro deve mantenere il segreto professionale, quindi il massimo del riserbo, rispetto alle attività prestate e a tutte le informazioni che gli siano state fornite da un cliente, così come rispetto a quelle di cui sia venuto a conoscenza attraverso l’incarico affidatogli.

I presupposti per la sussistenza del segreto professionale e di ciò che ne consegue sono due: l’esistenza di un mandato professionale e il fatto che le notizie gli siano state riferite dal proprio cliente in funzione del mandato ricevuto. In merito a questo argomento o ad altri temi del diritto del lavoro chiedete una consulenza agli esperti di Studio Riitano. 

Violazione del segreto professionale consulenti del lavoro: 

L’obbligo del segreto professionale per il consulente del lavoro sussiste durante l’incarico e dopo che questo si è concluso. In un approfondimento della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro del 18 ottobre 2022 sono illustrate anche le premesse relative alla responsabilità penale in caso di violazione del segreto professionale.

Ci si sofferma anche sulle conseguenze dirette nei casi in cui si riveli tale segreto “in ragione della propria professione” e “senza giusta causa”. Affinché la “giusta causa” renda non punibile certe rivelazioni, deve essere rappresentata “da motivi «oggettivamente» rilevanti, perché il fine o il motivo dell’agente, per sé solo, non può considerarsi come giusta causa autorizzante la rivelazione”.

È presa in considerazione, inoltre, l’ipotesi in cui l’autorità giudiziaria chieda al consulente la consegna “immediata” di documenti e informazioni relativi a un cliente sottoposto a indagine penale. Contattate Studio Riitano. 

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