Contratto a tutele crescenti e licenziamento

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Una volta che il giudice, in sede di contenzioso giudiziario in materia di impugnazione del licenziamento, constata che il licenziamento è illegittimo cosa può fare?

 

 

Fino al 6/3/15 l’universo dei lavoratori dipendenti era diviso in due. Da una parte stavano i lavoratori che rientravano nell’ambito di applicazione dell’art. 18 S.L.; dall’altra, chi invece non vi rientrava. A tale riguardo, è particolarmente nota la soglia dei 15 dipendenti: l’art. 18 S.L. si applica a chi lavora in una sede o stabilimento o unità produttiva che occupi più di 15 lavoratori; laddove questa soglia non sia raggiunta, la norma citata non si applica.

La differenza tra i due universi non era di poco conto. Solamente chi apparteneva all’area dei lavoratori tutelati dall’art. 18 S.L. poteva aspirare, in caso di licenziamento illegittimo (in quanto intimato senza giusta causa o giustificato motivo), alla reintegrazione nel posto di lavoro. Per tutti gli altri, era invece prevista una modesta indennità in denaro (da 2,5 a 6 mensilità).

Per la verità, la regola della reintegrazione (in origine assoluta) era stata limitata dalla L. 92/12 (riforma Fornero), che aveva ridotto le ipotesi di reintegrazione, talvolta affiancando a questa l’ipotesi dell’indennizzo (che, di regola, va da un minimo di 12 a un massimo di 24 mensilità). Tuttavia, anche dopo la riforma Fornero, la reintegrazione restava una delle principali sanzioni contemplate dalla legge per i licenziamenti illegittimi.

Dal 7/3/15 le regole cambiano e l’universo dei lavoratori dipendenti si complica. Infatti, in aggiunta ai due gruppi sopra descritti, si aggiunge quello dei lavoratori assunti, appunto, a far tempo dal 7/3/15. Per tutti costoro, cambiano radicalmente le regole sopra descritte (che invece restano per i loro colleghi assunti prima della data ora indicata).

Innanzi tutto, la reintegrazione diviene ora un’ipotesi assolutamente marginale, prevista per casi esplicitamente e tassativamente contemplati dalla legge e che, sostanzialmente, riguardano il licenziamento discriminatorio. In aggiunta a questa ipotesi, la reintegrazione è prevista nel caso di licenziamento disciplinare, se si accerta la insussistenza del fatto contestato.

Al di fuori di queste ipotesi, la illegittimità del licenziamento non porta alla ricostituzione del rapporto di lavoro, che deve invece essere considerato irrimediabilmente (benché illegittimamente) risolto. Piuttosto, il licenziamento illegittimo comporta il pagamento di un’indennità variabile a seconda dell’anzianità del lavoratore e delle dimensioni dell’impresa. In particolare, per i lavoratori che lavorano alle dipendenze di imprese che raggiungono i limiti dimensionali dell’art. 18 S.L., l’indennità è di 2 mesi per ogni anno di anzianità, con un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità; per i lavoratori che lavorano alle dipendenze di imprese che non raggiungono quei limiti dimensionali, l’indennità è di un mese per ogni anno di anzianità, con un minimo di 2 e un massimo di 6 mensilità.

Per quanto cresca la tutela non porterà mai alla reintegrazione (se non in casi gravissimi e marginali, e anche in questi casi avverrà a prescindere dall’anzianità). Altro aspetto è la rigidità del risarcimento del danno.  Un’unica sanzione, in funzione della sola anzianità aziendale.

 

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