Che cos’è?
Negli ultimi anni si sta facendo strada nel dibattito italiano un nuovo modo di concepire il lavoro, il c.d. smart working, che rivoluziona il vecchio schema di modalità lavorativa, spostando il lavoratore da una postazione fissa ad una flessibile, più adatta alle esigenze di una società sempre in continua evoluzione. Lo Smart working non intende solo voler conciliare i tempi di vita e lavoro, ma punta all’aumento della produttività lasciando il dipendente libero di scegliere non solo l’orario ed il luogo di lavoro ma di fissare degli obbiettivi di produttività da raggiungere in totale autonomia.
Il termine “ Smart working” deriva dall’inglese ossia “lavoro agile” e propriamente consiste nella flessibilità della prestazione lavorativa all’interno di un rapporto di lavoro subordinato, allo scopo di incrementare la produttività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
Precedentemente in Italia, c’è stato già un primo tentativo di venire incontro alle esigenze dei lavoratori grazie all’introduzione nel 2004 del telelavoro, tramite Accordo Interconfederale del 09/06/2004. Il telelavoro prevede delle postazioni remote fisse dalle quali il lavoratore deve svolgere in determinati orari il proprio lavoro. Il telelavoro è nato prevalentemente per venire incontro alle esigenze di lavoratori disabili, ma non è mai riuscito a trasformarsi in uno strumento di flessibilità organizzativa per l’azienda. Il principio del lavoro all’esterno dell’ufficio resta una nota comune con lo Smart working, anche se quest’ultimo è stato concepito in un’ottica di maggiore flessibilità per quanto riguarda tempi e luoghi.
Come viene disciplinato?
Il disegno di legge sullo Smart Working è stato presentato dal Governo come delega nella legge di stabilità 2016 e per la fine dell’anno dovrebbe diventare legge dello Stato.
La legge sullo Smart Working prevede che datore di lavoro e dipendente sottoscrivano un accordo individuale, sia a tempo determinato che indeterminato, per disciplinare la nuova tipologia di lavoro. Questo accordo deve definire: le forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro; gli strumenti tecnologici utilizzati dal datore di lavoro; i tempi di riposo; l’esercizio del potere di controllo del datore; le eventuali sanzioni legate a condotte per lavoro esterno all’ufficio.
Tale regolamentazione non deve cozzare con l’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, per cui fermo restando il divieto di mera finalità di controllo del lavoratore attraverso strumentazione di vario genere, sarà possibile controllare a distanza l’attività dei lavoratori quando questi svolgano la prestazione all’esterno dai locali aziendali, attraverso gli strumenti a loro assegnati, solo qualora sussistano esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale.
Il pilastro portante dello Smart Working deve essere un rapporto di fiducia tra il datore di lavoro e il dipendente che, sentendosi più libero di organizzare luoghi e tempi di lavoro, può garantire maggior produttività all’azienda. Tutto questo produce effetti benefici sia per i dipendenti perchè guadagnano tempo, flessibilità ed energie per esempio sprecate per andare e tornare dal luogo di lavoro; sia per il datore di lavoro che risparmia in termini di spese per la gestione dell’ufficio che perde di centralità, e guadagna in produttività dei dipendenti.
Per quanto riguarda i diritti del dipendente, restano validi tutti i diritti “tradizionali” come la tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Il testo italiano, nel recente passaggio in commissione Lavoro ha accolto il “diritto alla disconnessione” introdotto dalla disciplina francese: si prevede che con un accordo aziendale tra dipendente e datore si stabiliscano le regole per lasciare tempi liberi dalla connessione con l’ufficio.
La legge sullo Smart Working, inoltre, prevede che lo stipendio del dipendente che lavora all’esterno dell’ufficio non possa essere inferiore a quello dei dipendenti che svolgono la stessa mansione all’interno dell’azienda.
Sono state introdotte regole anche per quanto riguarda la sicurezza. Il datore di lavoro deve garantire salute e sicurezza anche a chi svolge la prestazione fuori dai luoghi di lavoro. A questo proposito è previsto l’obbligo di consegnare al lavoratore un’informativa scritta con cadenza annuale, nella quale vengono individuati i rischi generali connessi al tipo di lavoro. Anche in questo caso il lavoratore ha diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro che possono avvenire durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello scelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa al di fuori dei locali aziendali.
Qual è l’impatto dello Smart Working in Italia?
Al di là dell’aspetto normativo, la società ha un po’ anticipato l’applicazione di questa nuova tendenza nell’organizzazione del lavoro. Secondo i dati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, evidenziano che quasi il 50% delle grandi aziende italiane sta sperimentando lo Smart Working. Si parla ancora di percentuali contenute soprattutto per quanto riguarda le piccole aziende, ma sembrerebbe che anche in Italia si stia evolvendo la vecchia visione dell’organizzazione del lavoro per troppi anni bloccata tra rigidità e contrapposizioni.
Ne sono una dimostrazione i recenti rinnovi dei contratti nazionali che hanno spalancato la porta allo Smart Working anche in settori apparentemente meno adatti ad accogliere questa novità. Lo Smart Working in teoria può essere valido per tutti i lavori, ma ovviamente si applica più facilmente a lavori di tipo intellettuale che non implicano necessariamente la presenza del lavoratore in ufficio o per esempio sulla catena di montaggio (in quest’ultimo caso diventa molto più complicato).
I primi settori che hanno accolto questa novità sono stati quello bancario, assicurativo, delle telecomunicazioni, o dell’informatica, ma anche nel recente accordo tra i metalmeccanici di Cisl e Uil e le piccole e medie imprese sono partite con la sperimentazione.
Ad oggi, in una situazione ancora in via di definizione, ogni azienda stipula accordi in base alle proprie esigenze produttive o interpretative dello Smart Working: ad esempio Wind prevede 6 giorni al mese; 8 giorni per Intesa Sanpaolo, uno a settimana per A2A, 2 per Zurich oppure, 32 ore mensili per Barilla. A queste si aggiungono anche altre grandi aziende come BNP, Generale Motors Powertrain, Snam e Banca Etica.
Restano, tuttavia, sfide importanti da affrontare, la declinazione del lavoro Smart anche alla Pubblica Amministrazione, o la diffusione tra le PMI. Vi sono, però, settori ancora abbastanza chiusi all’applicazione di questa nuova visione del lavoro. Primo tra tutti è quello delle PMI per cui persiste una barriera culturale, anche se l’aumento di consapevolezza fa ben sperare per il futuro. Il secondo è la PA, dove l’obiettivo di diffusione di modelli flessibili introdotto nella riforma Madia è una nota positiva, ma non ancora sufficiente.
Al fine di consentire il successo di tale sfida, è necessario rendere più pervasivi i progetti che prevedono il superamento degli orari di lavoro, il ripensamento degli spazi e la creazione di sistemi di valutazione per obiettivi. Inoltre è opportuno rivedere la c.d. “digital transformation” che lo Smart Working può abilitare introducendo nuove tecnologie in azienda.